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Nel 2026 pensione a 71 anni con soli 5 anni di contributi

Nel 2026 pensione a 71 anni con soli 5 anni di contributi
Photo by Pixabay
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La proposta abbatte i vincoli per i contributivi puri e misti, eliminando l’obbligo di ricorrere all’assegno sociale a 67 anni. Le modifiche proposte per il sistema previdenziale italiano potrebbero disegnare nuovi orizzonti per i lavoratori, offrendo maggiore accessibilità e giustizia nel panorama delle pensioni.

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È tempo di cambiare? verso un nuovo modello di pensioni

In un futuro non troppo lontano, il cambiamento delle regole pensionistiche potrebbe spalancare le porte della pensione anche a coloro che, attualmente, ne vedono solo un miraggio. Se l’idea di unificare i criteri dei sistemi retributivo, misto e contributivo verrà accolta, raggiungere la pensione non sarebbe più un traguardo irraggiungibile per molti. Si profila, infatti, la possibilità di elevare l’età pensionabile a 71 anni, una modifica che standardizzerebbe l’accesso all’indennità di vecchiaia. Al giorno d’oggi, molti 67enni si trovano nella posizione scomoda di dover ripiegare su un assegno sociale per mancanza dei requisiti necessari, ma tutto ciò potrebbe essere rivoluzionato con le nuove normative.

Nuove prospettive dal 2026: oltre l’assegno sociale?

L’anno 2026 potrebbe segnare l’inizio di una nuova era per il sistema pensionistico italiano, dove i lavoratori potrebbero aspirare a ritirarsi già a 64 anni senza vincoli legati al concetto di “contributivo puro”. Attualmente, tale restrizione esclude dalle pensioni anticipate coloro che hanno iniziato a versare contributi prima del 31 dicembre 1995. Tuttavia, le ultime discussioni suggeriscono un’armonizzazione totale, che avvantaggerebbe particolarmente chi rientra nel sistema misto. Eliminare queste disparità non solo aprirebbe nuove possibilità ai beneficiari misti, ma livellerebbe anche le condizioni tra coloro che hanno iniziato a contribuire prima e dopo il 1996, abbattendo barriere storiche nel panorama delle pensioni italiane.

A difesa dell’uguaglianza: la parola alla consulta

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La Corte Costituzionale ha messo in evidenza l’ingiustizia di alcune leggi che penalizzano gli invalidi del sistema contributivo puro a discapito di quelli con versamenti antecedenti al 1995. La Consulta ha deciso che è essenziale garantire agli invalidi le stesse maggiorazioni e integrazioni al minimo, segnalando la necessità di eliminare queste differenze insensate. Un cambiamento normativo che riflettesse tale parità permetterebbe a tutti, a 71 anni, di accedere alla pensione di vecchiaia contributiva, indipendentemente dal passato contributivo. Perché, dunque, non estendere uguali diritti a tutti? In tal modo, ogni lavoratore anziano con almeno cinque anni di contributi potrebbe godere di una pensione, svincolata da cifre minime esclusive e mettendo finalmente da parte un sistema che favorisce i “contributivi puri”.

Verso un futuro inclusivo: tra i contributi e pensioni

Attualmente, coloro che non riescono a soddisfare i minimi contributivi a 67 anni sono costretti a fare affidamento sull’assegno sociale, un sussidio strettamente legato al reddito personale piuttosto che ai contributi accantonati. Questo basamento assistenziale rischia di venir meno superando specifiche soglie di reddito, rendendo la vita ardua a molti pensionati. Se le nuove regole dovessero entrare in vigore, offrirebbero a tutti la possibilità di ottenere una pensione di vecchiaia a 71 anni con soli cinque anni di contributi. Tale revisione non solo cancellerebbe il sistema esistente, ma introdurrebbe una visione più inclusiva per lavoratori di ogni categoria, eliminando la necessità di ricorrere all’assegno sociale solo per sbarcare il lunario. Questo sarebbe un passo verso un sistema previdenziale equo, dove la giustizia sociale prevale e ogni anziano lavoratore può guardare con fiducia al futuro.