Sindacati sul piede di guerra contro la nuova riduzione dell’IRPEF prevista dalla Manovra 2026: secondo le sigle dei lavoratori, il taglio del secondo scaglione garantisce vantaggi minimi e non basta a compensare l’aumento del costo della vita.

La recente proposta di bilancio per il 2026 ha acceso il dibattito tra i sindacati e il governo, con particolare attenzione alle modifiche fiscali proposte, specialmente il contestato taglio dell’IRPEF per il secondo scaglione di reddito. Una misura che sta creando divisioni per i suoi limitati benefici economici percepiti.
La storia degli scaglioni IRPEF: un percorso di continua revisione
Negli ultimi anni, il sistema di tassazione IRPEF ha subito diverse modifiche, riducendo progressivamente gli scaglioni da cinque a tre. Il primo significativo cambiamento è avvenuto nel 2022, quando le aliquote furono ridotte da cinque a quattro fasce:
- 23% per redditi fino a 15.000 euro;
- 25% per redditi tra 15.001 e 28.000 euro;
- 35% per redditi tra 28.001 e 50.000 euro;
- 43% per i redditi oltre i 50.000 euro.
Questa struttura è rimasta invariata nel 2023. Nel 2024, tuttavia, il sistema è stato ulteriormente semplificato in tre scaglioni, decisione confermata anche per il 2025, con la seguente configurazione:
- 23% fino a 28.000 euro;
- 35% tra 28.001 e 50.000 euro;
- 43% oltre 50.000 euro.
Queste modifiche sono state accolte positivamente come un passo verso una maggiore semplicità e una riduzione del carico fiscale per le famiglie a reddito medio-basso.
Manovra 2026: il dibattito sul taglio della seconda aliquota

Con l’introduzione della manovra di bilancio 2026 viene proposto un ulteriore taglio al secondo scaglione IRPEF. Il governo, nelle sue intenzioni, mira a renderlo più progressivo riducendo l’aliquota dal 35% al 33% per la fascia di reddito compresa tra 28.001 e 50.000 euro. Nonostante le intenzioni, le critiche delle organizzazioni sindacali non si sono fatte attendere.
Secondo la Cgil, il beneficio concreto di questa riduzione sarà minimo per gran parte dei contribuenti, risultando in un esiguo aumento del reddito disponibile, quantificabile in pochi euro al mese. Questo impatto, sostengono, è “pari al prezzo di un caffè al giorno” e non sufficiente a fronteggiare le attuali pressioni economiche, in un periodo caratterizzato da inflazione e aumento del costo della vita.
Verso una riforma fiscale più equa?
La nuova manovra fiscale ripropone una vecchia questione: l’adeguatezza delle riforme fiscali nel contrastare il cosiddetto “drenaggio fiscale” e nel sostenere effettivamente il potere di acquisto delle famiglie. Le critiche dei sindacati rivelano la complessità di bilanciare equità e semplicità nel sistema fiscale italiano.
Questa proposta di bilancio illustra, ancora una volta, quanto la tassazione personale resti un tema cruciale e controverso nella politica economica del paese. Sebbene il governo veda in questi tagli un progresso verso un sistema più moderno, i sindacati richiedono misure più profonde e incisive che possano realmente giovare ai lavoratori italiani, arginando la progressiva erosione del loro potere d’acquisto.
In sintesi, pur offrendo un leggero sollievo fiscale ai contribuenti di fascia media, la misura sembra più un palliativo che una soluzione sostanziale. La strada verso una riforma fiscale più equa e completa resta ancora impervia, suscitando la richiesta di un ripensamento strategico delle politiche fiscali per il futuro.
