Un’analisi approfondita del beneficio fiscale generato dal taglio del 2% dell’aliquota IRPEF proposto nella Manovra 2026, per i contribuenti con redditi tra 28.000 e 50.000 euro.

Il recente dibattito politico ha riacceso i riflettori sulla fiscalità italiana con l’introduzione di un taglio dell’IRPEF previsto nella Manovra 2026. Questo intervento, mirato al secondo scaglione di reddito, dovrebbe generare per i contribuenti un beneficio lordo totale di circa 1,63 miliardi di euro all’anno. Ma quanto realmente si tradurrà in termini di risparmio per gli individui? E soprattutto, quali sono le conseguenze per il ceto medio italiano?
L’impatto del taglio IRPEF
L’effetto immediato del taglio del 2% nell’aliquota IRPEF si riflette in un risparmio medio per contribuente di circa 240 euro annui. Questo beneficio risulterà particolarmente significativo per i circa 6,5-7 milioni di contribuenti compresi nella fascia di reddito tra 28.000 e 50.000 euro. Tuttavia, il vero vantaggio di questa misura potrebbe non essere così evidente come le proiezioni ottimistiche sembrano suggerire. Infatti, senza considerare le eventuali interazioni con le detrazioni fiscali e l’aggiustamento delle addizionali locali, il risparmio individuale apparirà più contenuto rispetto alle attese. Si stima infatti che, in termini reali, il risparmio possa variare da 40 a 440 euro all’anno, a seconda del reddito lordo del contribuente.
Il fiscal drag e il ceto medio

In un contesto economico caratterizzato da inflazione e adeguamenti salariali, il cosiddetto “fiscal drag” si manifesta con un aumento proporzionale della pressione fiscale rispetto alla crescita nominale dei salari. Questo fenomeno penalizza particolarmente il ceto medio, che si trova spinto verso fasce di tassazione più elevate senza un reale beneficio netto in busta paga. Secondo i dati raccolti da Itinerari Previdenziali, questa condizione si è acutizzata nel biennio successivo all’aumento dell’inflazione. Il taglio del 2% nell’aliquota marginale al 33% potrebbe così, almeno in parte, alleviare gli effetti negativi di questo meccanismo.
Le ragioni dietro il cambiamento
L’analisi dell’Osservatorio di Itinerari Previdenziali ha rivelato che oltre la metà del gettito IRPEF proviene da una minoranza di contribuenti con redditi medi e alti. Inoltre, la perdita del potere d’acquisto ha reso questa fascia di popolazione particolarmente sensibile al disallineamento tra costi crescenti e parametri fiscali fissi. Senza un tempestivo adeguamento degli scaglioni IRPEF, i contribuenti rischiano di vedere vanificati gli incrementi salariali perché tassati a margini sempre più alti. Da gennaio 2025, la struttura dell’IRPEF è stata ridisegnata per mitigare il fiscal drag, ma il vero test della sua efficacia sarà la risposta del ceto medio alle nuove disposizioni fiscali.
