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Donne escluse dalla pensione: una clausola le blocca tutto

Donne escluse dalla pensione: una clausola le blocca tutto
Photo by Pexels – Pixabay
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Il reddito del marito la esclude anche dall’Assegno Sociale: una donna senza pensione e senza sostegni dopo una vita di lavoro e sacrifici.

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Ci sono ideali che portano le persone a vedere la pensione come la conclusione degna di una carriera, ma ci sono anche coloro che si avvicinano a questo traguardo solo per vederselo negare dalle fredde regole di calcolo. In Italia, molte famiglie vivono l’incubo di un coniuge tagliato fuori sia dal beneficio pensionistico sia da qualsiasi forma di sostegno statale, perché l’altro partner è ritenuto “troppo” abbiente. Il risultato? Una serie di contraddizioni che sembrano sfidare la logica.

Un’eredità lavorativa svanita nel nulla

Un esempio lampante è la storia di Serena. Per molti anni, ha intrecciato la sua vita tra figli, la gestione della casa e un’attività di lavoro autonomo. Nel 1991, intraprende l’avventura di aprire un piccolo negozio di articoli da regalo, e per 16 anni versa i contributi previdenziali. Oggi, a 67 anni, Serena si trova impossibilitata a godere del meritato riposo: le mancano solo quattro anni per raggiungere lo standard minimo di 20 anni di contributi richiesto per la pensione.

A queste difficoltà si aggiunge il fatto che il reddito del marito la esclude dall’Assegno Sociale, un’ancora di salvezza per chi non ha accesso alla pensione. “Ma allora che Italia è questa?”, si interroga Serena, esprimendo un senso di amarezza per un sistema che sembra penalizzare chi ha cercato di vivere rettamente.

Un paradosso di contributi

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Serena non è sola in questo scenario. Ci sono centinaia, se non migliaia di donne che, nonostante anni di lavoro e sacrifici, si trovano escluse dalla protezione pensionistica. Non è sufficiente aver versato 18 o 19 anni di contributi: senza toccare il traguardo dei 20 anni, la pensione rimane un privilegio inaccessibile.

Esiste anche la possibilità di andare in pensione a 71 anni con soli 5 anni di contributi, ma esclusivamente per chi ha iniziato a contribuire dopo il 1996. Serena, avendo iniziato nel 1991, non ha accesso a questa opzione. Quel primo versamento, fatto tanti anni fa, diventa per lei un ostacolo insormontabile, una clausola tecnica che le impedisce ogni margine di manovra.

Un urgente bisogno di riforma

Molti anziani che vivono con pensioni minime, appena sufficienti per sopravvivere, si vedono negare altre forme di integrazione perché il reddito familiare, sebbene minimo, supera le soglie previste. Il risultato è una vita di stenti con pensioni che non garantiscono un tenore di vita dignitoso. Questa è una cruda realtà che affligge soprattutto le donne, impegnate per anni nel lavoro e nella cura della famiglia, senza mai ricevere un riconoscimento economico adeguato.

La storia di Serena è lo specchio di tante altre. Ci si chiede se un sistema così statico e impersonale possa ancora rispecchiare i bisogni della società odierna. Probabilmente è tempo di ripensare non solo ai criteri stessi, ma anche ai principi di equità e merito che stanno alla base delle attuali norme previdenziali.