La Corte di Cassazione ha ribadito una sentenza che condanna un medico per richiesta di denaro in cambio di certificati medici, mettendo in evidenza l’illegittimità di tali pratiche contrarie alla deontologia professionale.

Di recente, la Corte di Cassazione ha reso più salda la condanna di un medico di base accusato di pratiche corruttive relative al rilascio di certificati medici per assenza dal lavoro. Al centro della controversia c’era la richiesta di compensi da parte del medico ai pazienti, accusa alla quale l’imputato ha tentato invano di opporsi. Il verdetto ha sottolineato l’inevitabile colpevolezza, nonostante l’invocata irrilevanza dei fatti. La sentenza ha chiarito un principio cruciale: anche piccoli compensi non eliminano la gravità della violazione dei doveri medici.
Ricorso del medico
Esaminando il ricorso del medico, la Corte di Cassazione ha deciso di bocciare tutte le giustificazioni presentate. L’imputato aveva cercato di minimizzare il proprio comportamento, sostenendo che le richieste di denaro, ammontanti a solo 30 euro due volte, fossero state avanzate con leggerezza e senza serietà. Ha anche osservato che nessuno dei pazienti ha cambiato medico dopo l’incidente, suggerendo quindi l’assenza di malafede percepita. Alcuni testimoni avevano anche affermato di non aver colto alcuna gravità nel comportamento del medico durante le udienze.
La Corte, tuttavia, ha posto l’accento sulla non applicabilità dell’articolo 131-bis del codice penale, che esenta dalla punibilità i reati di lieve entità. Poiché l’offerta di denaro, sebbene limitata, rivela la natura inappropriata della condotta del medico, il suo gesto non può essere facilmente ignorato. Anche quando tali azioni non sono ripetute frequentemente, esse violano i principi etici e professionali che dovrebbero essere la base del servizio sanitario pubblico.
Principi di correttezza e integrità compromessi

La sentenza giudiziale accentua l’importanza dei principi di correttezza e lealtà che dovrebbero sempre guidare l’operato dei medici. Nel caso in questione, la condotta incriminata si è manifestata attraverso la richiesta di un pagamento per un servizio del Servizio Sanitario Nazionale, di norma gratuito. Questa pratica rappresenta una chiara violazione delle norme che regolano l’etica professionale. La Corte ha quindi sostenuto che l’eccezione alla punibilità per il “particolare tenuità del fatto” non trova spazio in questo contesto.
L’analisi critica della Corte non si è fermata al caso specifico, ma ha evidenziato come il comportamento del medico possa diventare l’emblema di una tendenza più vasta e preoccupante. L’idea che pratiche corrotte possano trasformarsi in abitudini sottolinea l’importanza di mantenere uno strenuo controllo per prevenire qualsiasi infiltrazione di corruzione nel sistema sanitario.
L’importanza della sentenza per la protezione della professionalità medica
La sentenza della Suprema Corte è un avvertimento limpido sui pericoli delle pratiche illecite. Sebbene le somme di denaro richieste fossero modeste, l’atto in sé continua a rappresentare una chiara infrazione delle leggi professionali. Il verdetto ha evidenziato l’importanza di proteggere l’integrità della professione medica, garantendo che la fiducia dei pazienti non venga mai compromessa per interessi personali.
Questo giudizio funge da forte monito per l’intera comunità medica: non vi sono giustificazioni accettabili per deviare dai doveri di trasparenza e integrità. Qualsiasi azione, per quanto minore possa sembrare, che vada contro l’etica professionale verrà esaminata e, se necessario, severamente punita dalla giustizia. La salvaguardia della professionalità deve rimanere al centro dell’operare di ogni medico, per assolvere pienamente al proprio ruolo di garante della salute pubblica.